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L'Italia della miseria e del dovere cristiano

“In questi paesi più nessuno credeva in Dio, non se ne curava affatto, non si ricordava di aver creduto; ciò era accaduto senza difficoltà, senza conflitti, senza violenza e pretesa di alcun genere, senza nemmeno una vera discussione, con la stessa facilità con cui un oggetto pesante, un tempo trattenuto da un impedimento esterno, torna alla sua posizione di equilibrio non appena lo si molla. Le credenze spirituali umane, mi dissi, erano forse lungi dall’essere quel blocco massiccio, solido, irrefutabile, che ci si raffigura di solito: forse esse erano invece nell’uomo ciò che c’era di più fugace, di più fragile, di più pronto a nascere e a morire.

Michel Houllebecq – "Le possibilità di un’isola"


Italia, chi siamo? Dov’era la tua povertà? Cos’era la nostra povertà? E i sogni dei nostri padri?

(Pier Paolo Pasolini corre tra dune e immondizia a Sabaudia).

E tutte le nostre miopie, le nostre meschinità? Dov’erano?
L’Italia affoga nella spazzatura e la speranza nel futuro è diventata un buco nero.

Aveva i suoi poveri, che la domenica a messa vestivano con giacca e scarpe pulite.
E ora le nostre scarpe da tennis. Cosa abbiamo guadagnato?
Con chi abbiamo patteggiato la nostra autenticità? Anche le nostre falsità, di paese di provincia, diventano spazi di vetro. Vuoti.
Abbiamo pane ogni giorno, acqua calda e fredda, luce, un tetto sulle teste, tempo libero per i nostri sogni. Ma non serve. Che cosa abbiamo perso?
Italia, rispondimi. Strangolata dal tuo stesso odio.
L’Italia è sprofondata nel conformismo.
Il sole non brilla. Eppure continua a brillare.
Mai i nostri occhi hanno smesso di vedere.
Abbiamo perso i calli alle mani. Abbiamo perso la speranza in un amore eterno.

Siamo gli ultimi testimoni dell’amore eterno.
Mia nonna chiede la sepoltura nella tomba vicino al marito morto da cinquant’anni. La sua passione eterna è ciò che ci lascia.
Quando c’era la guerra e gli aerei americani bombardavano la ferrovia, mia nonna usciva dalla rocca di Marano e andava sulla collina a vedere gli aerei passare. Mio nonno le salvò la vita, corse a perdifiato su su fino al castello. “Via, via di lì”. Gli spari della mitraglia sfiorarno i corpi giovani e INNOCENTI di quei ragazzi.

Le ragazze-bambine del sud andavano a lavorare nelle risaie del nord. “E dopo il lavoro che fate?” chiedeva il giornalista della Rai. “Giochiamo”, rispondevano. "In che senso giocate?”, chiedeva incredulo. "Si, giochiamo a nascondino.Giochiamo!”, rispondevano.
Erano INNOCENTI. Non avevano mai visto un film porno. ERANO INNOCENTI.

Ho riso di lei, di mia nonna. Dalle sue messe domenicali, dei suoi sogni. E oggi, disperato, mi chiedo: “Se avesse ragione? Se avesse ragione lei? Se le quattro vecchiette col velo nero in testa a messa, se fossero loro a reggere questo mondo?

(Pier Paolo. La tua visione ti uccise. La mia visone mi uccide. Eppure mi dà coraggio).




Ascolto Maria Carta che canta il "Dies Irae" in sardo.
Attendo le otto di sera per andare a messa. Ieri il prete catalano ricordava una vecchia parrocchiana. Tutta la sua messa nel ricordo di una donna che visse la guerra e il Franchismo. Sempre lí, fedele alla chiesetta che fino a quarant’anni fa era nel paesello di Sant Martì, appena fuori Barcelona.

Se è vero che si rimpiange ciò che non si è mai vissuto, io rimpiango la Barcelona franchista. Rimpiango le chiese di campagna. Come Pasolini rimpiangeva i muretti borbonici. Rimpiango la schiena piegata a tagliare il grano. E i canti nelle risaie. Rimpiango la Cupra Marittima degli anni ’20, della guerra e dei bombardamenti alleati. La campagna e i suoi tramonti. Rimpiango i nonni che non ho mai conosciuto. I loro volti scavati dal calore del sole, o dalle caldaie delle petroliere.

Rimpiango ciò che non ho mai visto nè avuto. Rimpiango la semplicità della bontà e della cattiveria umana autentica. Rimpiango un mondo che non ho mai conosciuto. E’ il mio ideale. Un mondo mai conosciuto. Rimpiango le notti a recitare il rosario.

Abbiamo girato il mondo. Visto razze diverse, mangiato in ristoranti cinesi, belgi, vietnamiti, indiani. Abbiamo visto le chiese e le moschee sulla Terra. Le discoteche e le sale da ballo. Ma non abbiamo trovato noi stessi. Non ci meraviglia più niente. Le nostre radici svanite.

Ricominceremo dalla musica tradizionale? Dal Saltarello? Dall'amore per la nostra terra e patria, per i nostri morti, le vecchiette col velo nero in chiesa, Per la campagna?

La prospettiva ultraterrena ha traslocato sulla Terra. L’orrida speranza di vincere la lotteria.

Chi fra voi, merita la vita eterna?

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