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Ulisse piange



“Perchè piangi?”

“Non sto piangendo, sto ricordando”


Elio Vittorini, Conversazione in Sicilia



Dalla lettura dell’Odissea, mi è rimasta solo una immagine. Non tanto gli amori, le lotte degli eroi che sfidano il mare, guerreggiano, invocano gli dei, affontano mostri ciclopici e maghe vendicative, invocano gli dei e si salvano, s’innamorano di ninfe e si perdono, cedono al fato e muoiono.


Telemaco in cerca di notizie del padre, giunge a Lacedemone alla corte di Menelao.

Il re tornato vincitore con Elena di Troia, si trova nel bel mezzo di un banchetto per le nozze del figlio e della figlia.E’ una scena di festa, nella sala più grande e con l’alto soffitto dorato, gli aedi suonano la cetra, gli acrobati volteggiano nella danza. Alla richiesta d’ospitalità di Telemaco, accompagnato da Pisistrato figlio di Nestore, Menelao li invita al banchetto senza chiedere loro i nomi: mangiano bue arrosto e bevono vino.

In una pausa del pasto, non appena Telemaco rivela la sua identità, Menelao ha un “Evviva!” di giubilo per la presenza del figlio dell’amico Ulisse con cui lottò e conquistò Troia. Ma l’allegria dura un istante: il dubbio di una tragica fine di Ulisse avvolge le parole di rievocazione di Menelao. Al pensiero dell’ ”infelice senza ritorno”, tutti i presenti piangono: la bella Elena, Telemaco e Menelao, Pisitrato.

Ognuno a suo modo piange l’amico, il padre, l’eroe, e tutti i presenti rivestono i ricordi delle persone più care passate alla tomba. A quel punto Pisistrato figlio di Nestore, ricorda il fratello Antiloco morto in battaglia e condivide il suo ricordo a voce alta:


“E’ pur questo il solo privilegio per i miserandi mortali,

Tagliarsi la chioma e dalle guance lasciar scorrere le lacrime”.


Nell’intera Odissea, sono innumerevoli in momenti in cui si manifesta la forza rituale del pianto, sempre associato con il ricordo. Ulisse piange tre volte. L’eroe di Troia, che ha affrontato addirittura la discesa all’oltretomba, piange tentando di abbracciare l’ombra della madre. Piange alla morte del cane Argo, l’unico che lo riconosce appena tornato a casa.


Tornato a Itaca cerca il vecchio padre Laerte. Lo trova piegato a zappare la vigna, sudicio e con un berreto di capra in testa, e a stento trattiene il pianto:


“L’animo a lui si commosse, guardando suo padre,

E alle nari gli irruppe uno stimolo acre”.


Riuscite a sentire la forza d’analisi di tale emozione umana? Persino nei suoi dettagli fisiologici? Chi non ha mai provato quel bruciore al naso, prima del manifestarsi delle lacrime?


L’immagine che il poema mi ha donato è quella di un’umanità insospettatamente attuale, una profonda lettura delle passioni umane anche più segrete e il loro sincero manifestarsi.Un’ immagine eroica così lontana dai palestrati alla “300”.


L’Odissea rimarrà per sempre l’epica del ricordo e del pianto del vagabondo, ed Ulisse ne sarà il simbolo eterno e assioma del percorso terrestre di ogni essere umano.

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